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GIOVANNI PALATUCCI
“Giovanni Palatucci nacque a Montella – in provincia di Avellino – il 31 maggio 1909 da Felice e Angelina Molinari. Importante fu nella sua formazione lautorevolezza morale e culturale degli zii Antonio e Alfonso – che diverranno membri e docenti dellAlmo Collegio Teologico di Napoli e superiori provinciali dei Francescani conventuali in Puglia e a Napoli – e dello zio Giuseppe Maria Palatucci, Vescovo di Campagna. Comp gli studi ginnasiali presso il Ginnasio Pascucci di Pietradefusa ed il Liceo nella non lontana Benevento. Dopo la maturit, venne il tempo del servizio militare (1930) per il quale fu destinato, come allievo ufficiale di complemento, a Moncalieri. Nel 1932, a ventitr anni, si laurea in giurisprudenza presso lUniversit di Torino. Il 16 settembre 1936 a Genova dove formula promessa di volontario Vice Commissario di Pubblica Sicurezza. Dal 15 novembre 1937 a Fiume presso la cui Questura – ove negli anni successivi avr incarichi di Commissario e di Questore reggente – assumer la responsabilit dellufficio stranieri, che lo porter a contatto diretto con una realt di rara umanit ed in particolare con la condizione degli Ebrei”.
“Ho la possibilit di fare un po di bene, e i beneficiati da me sono assai riconoscenti. Nel complesso riscontro molte simpatie. Di me non ho altro di speciale da comunicare”. quanto scriveva l8 dicembre 1941 Giovanni Palatucci in una lettera inviata ai genitori. Niente di speciale davvero, se non fosse che quel “po di bene”, compiuto nel pi totale sprezzo del pericolo e in tempi difficili, signific la salvezza di centinaia di ebrei; oltre cinquemila, secondo quanto riferito dal delegato italiano Rafael Danton alla prima Conferenza ebraica mondiale tenutasi a Londra nel 1945.
Giovanni Palatucci era un cattolico di profonda fede; non sappiamo quali furono le sue prime reazioni alle leggi razziali, ma da parecchie testimonianze risulta chiaro come, via via che crebbe il pericolo per gli ebrei, egli rifiutasse di farsi complice delle persecuzioni. Egli non volle allontanarsi da Fiume neanche quando il Ministero dispose nellaprile del 1939 il trasferimento a Caserta. Rodolfo Grani, ebreo fiumano molto impegnato nella pubblicistica del settore, promotore di pubblici riconoscimenti in Italia ed in Israele alla memoria di Giovanni Palatucci – che egli conobbe personalmente e della cui benemerita quanto rischiosa opera di solidariet in favore degli ebrei stato diretto testimone – ricorda un primo grande salvataggio nel marzo del 1939, attuato dalleroico funzionario, da lui definito “nobilissimo giovane cattolico”. Si trattava di 800 fuggiaschi che dovevano entro poche ore essere consegnati alla GESTAPO. Il dott. Palatucci avvis tempestivamente Grani, il quale si mobilit ed ottenne lintervento del Vescovo Isidoro Sain che, a sua volta, nascose temporaneamente i profughi nella vicina localit di Abbazia sotto la protezione del Vescovado. A proposito di Grani, nel suo appello agli ex internati del campo di concentramento di Campagna, ci dato leggere: “Stava nella facolt del Dott. Palatucci di concedere agli ebrei rifugiati dai paesi di Hitler a Fiume i relativi Permessi di soggiorno e non una volta, quando si trattava di qualche affare scabroso, ha dovuto combattere lanimosit dei suoi superiori: il noto antisemita ha chiesto il mio modesto aiuto pregandomi di salvare i miei disgraziati correligionari, rivolgendomi al competente Ministero a Roma. Ci mi riuscito quasi sempre. Il dott. Palatucci dimostrava non solo nel suo ufficio, ma anche fuori di questo, la sua costante simpatia verso gli israeliti. Si potrebbe dire, che preferiva apertamente la compagnia degli ebrei nei luoghi pubblici e ritrovi. Quando nel giugno del 1940 scoppi la guerra e gli israeliti di Fiume e dintorni furono arrestati ed accompagnati maggior parte al campo di concentramento di Campagna, non una volta si affrett il dott. Palatucci di raccomandare questi disgraziati alla benevolenza del suo zio, a S. E. Giuseppe Maria Palatucci, Vescovo di Campagna, il quale ci ha ricevuto con una squisita gentilezza e nobilissima generosit, dimostrandoci la sua altissima umanit e filosemitismo”.
La figura di questultimo si sald inscindibilmente, a partire dal giugno del 1940, con quella del nipote Giovanni; il giovane responsabile dellUfficio stranieri infatti, quando la via dellemigrazione non era possibile, inviava gli ebrei presso il campo di concentramento di Campagna affidandoli alla protezione dello zio Vescovo. Giovanni dunque si rendeva conto che quel campo, pur con tutti i disagi dellinternamento, offriva un rifugio agli ebrei assai pi sicuro delle terre jugoslave e, dintesa con lo zio Vescovo, mise in opera ogni stratagemma per avviare l i profughi minacciati da immediati pericoli. Per non avere ostacoli dal Prefetto e dal Questore, presentava loro la soluzione dellinternamento nellItalia meridionale come rimedio per liberarsi della presenza dei profughi che costituiva una minaccia per la sicurezza pubblica.
Ritornando a Rodolfo Grani, anche nel suo servizio “Lopera di salvataggio del Vaticano per gli Ebrei”, pubblicato su Haboker, 10 agosto 1952, si sofferma sul suo personale istradamento, avvenuto per interessamento del dott. Palatucci, a Campagna “dove eravamo internati in gran massa noi fiumani”. Il Vescovo Palatucci “si reso indimenticabile fra migliaia e migliaia di nostra gente, aiutandoci, consolandoci con la massima generosit, facendosi fotografare con noi, disgraziati espulsi dalla vita sociale”.
Anche lavv. Barone Niel Sachs di Gric, che conobbe il Commissario Palatucci nellespletare funzioni di legale di fiducia presso la Curia Vescovile di Fiume, in una sua lettera del 25-09-1952 indirizzata al Vescovo Palatucci, sottolineava quanto il giovane amico sfidasse “lira dei suoi diretti superiori, il Prefetto ed il Questore di quel tempo”. Nel contempo il legale annotava la “riconoscenza imperitura dei beneficati dellottimo mio caro amico, suo esemplare nipote, mai abbastanza rimpianto”, e che egli aveva avuto “la fortuna” di conoscere. Parlando, un giorno, con il suo “indimenticabile” amico, il quale avrebbe “a guerra finita dovuto entrare a far parte” del suo “studio di avvocato a Fiume”, ricorda che egli gli disse pieno di amarezza: “ci vogliono dare a intendere che il cuore sia solo un muscolo e ci vogliono impedire di fare quello che il cuore e la nostra religione ci dettano. Queste nobili parole del nostro indimenticabile martire risuonano dopo tanti anni ancora nelle mie orecchie e Lassicuro, Eccellenza Reverendissima, che nella lunga mia carriera non ho mai incontrato un pi grande gentiluomo e galantuomo di Suo nipote”. Giovanni Palatucci, responsabile dellufficio stranieri in una delle pi calde zone di confine, era probabilmente un ingranaggio della burocrazia che, ogni qual volta doveva funzionare a danno dei profughi ebrei, si inceppava.
Unaltra testimonianza del suo modo di agire, delle sue scelte e della sua sensibilit, senza dubbio il racconto dellebrea austriaca Rozsi Neumann, pubblicato nella rivista “Israel” (n. 39 18 giugno 1953), salvata con suo marito. Essi – il marito era gi scampato a Dachau – erano di provenienza austriaca e avevano tentato di entrare clandestinamente in Jugoslavia; qui furono per catturati dalla gendarmeria e consegnati alla Questura di Fiume, che li rinchiuse nel carcere di via Roma. I coniugi temettero per un loro “rimpatrio in Austria da parte della Questura, il che avrebbe voluto dire andare a morte sicura”. Avevano prima sentito molto parlare del dott. Palatucci e della sua opera di soccorso.
Un giorno ebbero la sorpresa di vederlo arrivare nella loro cella, in visita. “Egli era di natura gaia”. Un altro giorno, quello di Natale, ebbero una sorpresa ancor pi forte: furono portati in Questura, dove il dott. Palatucci offr loro un pranzo. Il funzionario aveva appreso, attraverso la censura della corrispondenza, che la signora Neumann aveva espresso ad alcuni conoscenti il desiderio di mangiare qualcosa di diverso in occasione del Natale. “Lemozione fu tale che io riuscivo con difficolt ad inghiottire”, ricorda la signora, aggiungendo che “con il suo aiuto fummo poi liberati e potemmo salvarci la vita”. Un pensiero di gratitudine fu poi espresso, dalla signora Neumann, allo zio, Mons. G. M. Palatucci, con lettera del 26 giugno 1953, nella quale si parla dei riconoscimenti che venivano tributati alla memoria del dott. Palatucci, “nobilissimo uomo”, da tutti gli ebrei da lui “tanto aiutati”; annunziando che la sua testimonianza sarebbe stata inviata anche ad un giornale di New York, ricordava infine che “Vostro nipote (il quale mi parlava spesso di voi) credeva che sar internata in Campagna e mi voleva dare per Voi una lettera di raccomandazione. Fui per mandata a Montefiascone e cos purtroppo non ho avuto lonore di fare la Vostra conoscenza”. “Credo che questa mia breve narrazione” – scriveva la signora Neumann nellarticolo pubblicato su “Israel” – “possa far conoscere la tempra di questuomo, che, in tempi tanto difficili… andato oltre il comandamento Ama il prossimo tuo come te stesso. Il suo nome dovr essere ripetuto con rispetto e venerazione dalle future generazioni di Israele”.
Anche lebreo Carl Selan, da New York, in un articolo del 1991, ha voluto ricordare la figura di Giovanni Palatucci: “Tutta la mia famiglia e ognuno che sfuggito a Hitler e agli Ustascia, ha trovato un porto di serenit in Fiume solamente per la gentilezza e lammirabile personalit di Giovanni. Se non fosse stato per lui, ben pochi avrebbero potuto rimanere vivi oggi”.
A proposito dellintesa creatasi fra Giovanni e lo zio Mons. G. M. Palatucci in favore degli ebrei, questultimo, in unintervista fattagli in occasione della intitolazione della strada a Ramat Gan – di cui si dir in seguito – si sofferma su questo aspetto che lo legava affettivamente ed operativamente a suo nipote Giovanni: “Egli evit la cattura di molti israeliti o facendo in modo che lordine non arrivasse, o personalmente estradando gli israeliti verso lItalia, tanto vero che molti da Fiume passarono a Campagna, dove io ero Vescovo, sicch dalle mani sue venivano poi alle mani mie; li aiut in tanti modi, da poter riuscire a salvare la vita di numerosissimi israeliti”.
Palatucci e lo zio Vescovo dunque si fecero in quattro per risolvere positivamente i problemi degli ebrei; e se la via ufficiale incontrava grossi intoppi, Giovanni trovava sempre un modo per far imbarcare clandestinamente i profughi su qualche nave e farli arrivare sotto la protezione dello zio. Fino all8 settembre 1943 il ponte sul fiume Eneo, che divideva il territorio fiumano dalle terre Jugoslave controllate dallesercito italiano, divenne il canale di salvezza per migliaia di ebrei dellEuropa orientale e di tutte le regioni della Jugoslavia sottoposte agli ustascia ed ai nazisti.
Un ispettore catapultato nellufficio di Palatucci il 23 luglio 1943, trov solo elenchi di stranieri non residenti pi in Italia da moltissimo tempo e ne trasse la convinzione che il giovane funzionario non si fosse mai curato di seguire gli stranieri con la dovuta vigilanza. A Palatucci giunse il biasimo per aver reso praticamente inefficiente il servizio stranieri. Lispezione, probabilmente, fu la conseguenza dei rapporti non felici con i superiori. Gli ebrei presenti a Fiume l8 settembre 1943 erano 3500, in gran parte profughi della Croazia e della Galizia. Con la creazione della Repubblica Sociale ed il disfacimento dellesercito italiano, Palatucci rimane solo in quella citt a rappresentare la faccia di unaltra Italia che non voleva essere complice dellolocausto.
Nel novembre del 1943 il territorio di Fiume fu incorporato nella Adriatisches Kustenland, che si estendeva dalla provincia di Udine a quella di Lubiana. Era una vera e propria regione militare comandata dal gauliter Friedrich Rainer che disponeva di poteri assoluti. Lo Stato italiano di fatto in quel vasto territorio non esisteva pi. A Fiume lufficiale tedesco, che poteva decidere vita e morte di chiunque, era il Capitano delle SS Hoepener. In una situazione disperata, Giovanni Palatucci decide di rimanere a Fiume e diventa capo di una Questura fantasma, si rifiuta di consegnare ai nazisti anche un solo ebreo, anzi continua a salvarne molti rischiando la vita. Il Console svizzero a Trieste, che un grande amico di Palatucci, lo mette sullavviso che anche lui in pericolo e lo invita a trasferirsi in Svizzera. Palatucci aiuta ad espatriare in svizzera la donna ebrea di cui era innamorato, ma rimane ancora a Fiume: dice allamico svizzero che non se la sente di “abbandonare nelle mani dei nazisti gli italiani e gli ebrei di Fiume”.
Prende contatto con i partigiani italiani e, sotto il nome di Danieli, concorda con loro un progetto, da far giungere agli alleati, per la creazione, a guerra finita, di uno Stato libero di Fiume. Nel febbraio Palatucci viene nominato, da uno Stato che non esiste pi, Questore reggente di Fiume. In questo modo per poteva aiutare gli ebrei solo clandestinamente: fa sparire allora gli schedari, d soldi a quelli che hanno bisogno di nascondersi, riesce a procurare a qualcuno il passaggio per Bari su navi di paesi neutrali.
I nazisti, messi sullavviso da spie, non fidandosi pi di lui gli perquisirono la casa. Palatucci ingiunge allora allufficio anagrafico del Comune di non rilasciare pi certificati ai nazisti, se non dietro sua autorizzazione, allo scopo di conoscere in anticipo le razzie organizzate dalle SS. Il Capitano Hoepener infatti organizza una grande retata di ebrei: Palatucci per riesce a preavvertire gli interessati e li aiuta a nascondersi. A questo punto il Capitano delle SS capisce di essere stato beffato e anche i partigiani consigliano a Palatucci di lasciare Fiume; ma egli resta ancora”.
Il 13 settembre 1944 per, Palatucci venne arrestato dalla GESTAPO e tradotto nel carcere di Trieste; il 22 ottobre poi fu trasferito nel campo di sterminio di Dachau dove trov la morte a pochi giorni dalla Liberazione e a soli 36 anni, ucciso dalle sevizie e dalle privazioni o – come anche fu detto – a raffiche di mitra.
Di Giovanni Palatucci vogliamo ricordare ancora una parola detta nelle ore buie; sapendo che una donna ebrea era minacciata di imminente arresto, la affid ad uno dei suoi colleghi dicendogli: “Questa la signora Scwartz. Trattala, ti prego, come se fosse mia sorella. Anzi, no: trattala come se fosse tua sorella, perch in Cristo tua sorella”. Tanti anni dopo, quella signora partita da Israele ed andata sino a Fiume, per mettere un fiore davanti alla Questura in memoria di Giovanni Palatucci.
(“A Dachau per amore”, Goffredo Raimo – “Gli ebrei a Campagna durante il secondo conflitto mondiale”, Gianluca Petroni)
si ringrazia il “Comitato Giovanni Palatucci”